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Creatures of Habit, Breathing
29.06.2020 – 29.07.2020
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Creatures of Habit, Breathing
29.06.2020 – 29.07.2020
Il lavoro si inserisce all’interno di Creatures Of Habit, una ricerca a lungo termine che cerca di indagare il complesso sistema di dinamiche di potere che intervengono nelle relazioni tra i corpi, lo spazio e l’ambiente.
La ricerca prende in considerazione le funzioni umane elementari – quali respirare, dormire e mangiare – intese come pratiche che, seppur vitali e comuni a (quasi) tutti gli organismi viventi, sono condizionate da sovrastrutture socio-culturali e infrastrutture tecnologiche che ne hanno modificato i pattern evolutivi.
Le abitudini (Habits) sono qui intese come forme di prassi corporee radicalmente interlacciate a dinamiche politiche come disparità di classe, questioni di genere, colonialismo, antropocentrismo e biopolitica.
All’interno di queste relazioni, l’architettura e il design svolgono un ruolo controverso e a tratti ambiguo. Da un lato, in quanto pratiche di creazione artistica, allargano lo sguardo verso possibilità di vita alternativa. Dall’altro, in quanto tecnica, funzionano come strumenti di controllo sociale e normalizzazione del corpo.
Lo spazio dell’habitat umano si rinnova attraverso il disastro, risponde alle emergenze mediche, ripara le fratture sociali. Poi si cristallizza e diventa norma, modello dominante.
Breathing
Respirare è la pratica essenziale dello stare al mondo e quindi dell’abitare.
Respirare è un atto involontario eppure complesso nel sistema di relazioni ed equilibri che genera in senso ecologico.
Respirare è anche una lente che ci permette di osservare in maniera critica la condizione contemporanea dell’abitare, sospeso tra la salute (dei corpi singoli e delle masse) e la gestione dei corpi nello spazio.
Le recenti vicende globali dentro cui le nostre vite sono inevitabilmente immerse, sono uno spunto di riflessione fondamentale. Il virus condiziona la possibilità di respirare. Il razzismo post-colonialista soffoca in senso figurato (I can’t breathe). L’inquinamento dei territori sacrificali fa entrambe le cose. Il nostro bisogno di respirare, tuttavia, è un fattore imprescindibile che ha modellato gli spazi e i tempi della routine urbana.
Il video affronta il tema del respiro attraverso tre atti.
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Respiro
Sai come o dove hanno prodotto la tua energia pulita?
Sai dove estraggono il litio per le batterie?
Sai da dove vengono gli ortaggi nel tuo poké?
La produzione delocalizzata è l’ultima forma di colonialismo. È perverso che un occidentale si chieda come mai le città asiatiche siano tanto inquinate.
“In molti luoghi si stenta a respirare – in alcuni più che in altri, per alcuni corpi più che per altri.” (Timothy Choy)
Quando respirare in sicurezza – o respirare in assoluto – è diventato un privilegio?
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La vita urbana si basa sull’intersezione tra le specie.
Gli insetticidi penetrano sottilmente nel corpo. Gli insetti sono più porosi rispetto a noi. Inspirano ed espirano con l’intero corpo.
I pesticidi sono processi di purificazione da esseri viventi di ogni tipo, classificati come agenti nocivi, come peste. Genocidi tra specie, accettati come legittimi.
L’impossibilità di respirare è territoriale e altera l’atmosfera respirabile. Quando è colpito da patologie e oppressione fisica, il respiro del colonizzato viene a essere occupato.
“Non possiamo più consentire ad altri di trasformare le nostre mucose, la nostra pelle, tutte le nostre aree sensibili in un territorio occupato – territorio controllato e irregimentato da altri, del quale ci viene proibito l’accesso.” (Félix Guattari)
Aria
Viviamo in una costante condizione post-catastrofe. La vita è ciò che accade tra l’ultimo disastro e il prossimo. La ragione per cui esistiamo – e respiriamo – è l’evento noto come Catastrofe dell’ossigeno, che ha avuto inizio 2,4 miliardi di anni fa e che è ancora in corso. Prima della Catastrofe, le creature non sopravvivevano grazie all’ossigeno. L’ossigeno era materia di scarto. I cianobatteri ne hanno prodotto troppo, rendendo la propria sussistenza impossibile e causando un’estinzione di massa. Successivamente, i cianobatteri superstiti si sono evoluti per poter vivere all’interno di forme di vita più grandi e capaci di respirare. Ciò che chiamiamo antropocene non è altro che un granello di sabbia in una catastrofe più ampia che ha dato origine a organismi complessi, dotati di occhi, sfinteri e polmoni. Se estesi su un piano, i polmoni umani ricoprono un’area tra 80 e 100 metri quadrati – la superficie media di un’unità abitativa in Europa. Lo spazio dove vive un nucleo famigliare tradizionale. Madre, padre, figlio, cagnolino. Gli appartamenti standard sono una tecnologia moderna. A un certo punto della storia dell’uomo, l’architettura cominciò a essere considerata uno strumento medico. Un sanatorio per la vita quotidiana. “La tubercolosi contribuì a rendere moderna l’architettura” (Beatriz Colomina). L’architettura si evolve attraverso le emergenze, e l’emergenza riguarda sempre i corpi. Corpi individuali, corpi medici, corpi malati e sanificati, corpi collettivi, corpi muniti di razza, corpi migranti. La civilizzazione è sempre stata uno sforzo immunologico. Un atto di autoisolamento basato sul designare volumi disconnessi dall’aria circostante. L’aria condizionata è la forma ultima di addomesticamento: l’addomesticamento del clima. La costruzione di un clima interno è il progetto cosmologico di una serra planetaria. È un processo di territorializzazione atto a controllare e prevedere il comportamento e la crescita dei corpi.
Polvere
L’Henneguya salminicola è un animale che non ha bisogno di respirare. Ha perso i geni che glielo consentivano. Per sopravvivere, si è involuto. Potranno gli esseri umani vivere in un luogo in assenza di aria?
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Vivere nell’aria ha sempre significato essere immersi nel mondo. Ma l’aria non è più una materia naturale. È materia di preoccupazione. Tutti noi sperimentiamo questa sensazione di angoscia cronica. Un senso di impotenza o di mancato controllo. Una nuova anormalità.
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La polvere è nell’aria. Particelle minerali che fluttuano e si depositano. A volte puoi vederla, a volte no. Abbiamo tecnologie per la polvere, con sensori di silicio che forniscono dati visualizzati su schermi che, a loro volta, sono fatti di sabbia. Prostetiche minerali.
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“Il minerale è qualcosa che appartiene ai nostri corpi. Respiriamo minerali, respiriamo polvere, respiriamo sabbia.” (Giuseppe Penone)
Anche l’architettura è minerale. È materia inorganica che condiziona la vita organica. Sabbia, polvere e olio – tutto combinato a formare una conchiglia.
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E se l’architettura fosse viva? Cosa ci direbbe?
Le putrelle d’acciaio ci racconterebbero le vite degli operai che inspiravano emissioni non filtrate?
Il cemento armato ci direbbe qualcosa dello spaventoso fenomeno per cui la sabbia dall’India attraversa illegalmente l’oceano per arrivare in Europa?
I tubi di plastica ci racconterebbero la loro trasformazione da cascame biologico a petrolio, durata centinaia di milioni di anni? Ci parlerebbero del loro viaggio attraverso condotti di migliaia di chilometri, fino ad arrivare al punto di sbocco?